L’incontro, dal titolo “Simboli, linguaggio e memoria per raccontare l’Italia di oggi”, sarà l’occasione per riflettere sul rapporto tra passato e presente.
Lo storico direttore del TG3, Sandro Curzi, raccontò che durante la Liberazione, quando aveva solo quattordici anni, lui e i suoi compagni di un gruppo partigiano attivo nella zona di Ponte Milvio e Flaminio tentarono di minare l’obelisco “Mussolini Dux” al Foro Italico. Furono però fermati da un anziano partigiano comunista, che li dissuase spiegando che quello era «un monumento al popolo e ai lavoratori».
Sotto lo stesso obelisco, nel 1960, si svolsero le Olimpiadi di Roma senza che nessuno dei partecipanti rimanesse turbato, nonostante la guerra fosse finita da appena quindici anni e i testimoni diretti fossero ancora numerosi.
Oggi, nel 2025, simboli come l’obelisco suscitano invece polemiche e richieste di rimozione da parte di specifici schieramenti politici, che li considerano espressione di un passato da cancellare. Una dinamica che richiama la Cancel Culture nata negli Stati Uniti, dove sono state abbattute o rimosse statue dedicate a figure come il navigatore ed esploratore genovese Cristoforo Colombo e i presidenti Thomas Jefferson e Theodore Roosevelt.
La tendenza è arrivata anche in Italia: non solo l’obelisco di Roma, ma persino tombini, lampioni e arredi urbani recanti il fascio littorio, così come simboli scolpiti o incisi presso municipi, ministeri, tribunali, caserme, scuole e università, sono entrati nel mirino di chi sollecita una loro rimozione.
Come mette in luce Alberto Busacca nel suo libro, il fascismo, pur essendo stato sconfitto storicamente, continua a funzionare come una categoria politica e retorica. Ogni anno in Italia vengono pubblicati centinaia di libri che trattano il tema, spesso più per alimentare l’attualità del dibattito che per analizzare in modo critico il passato. La parola “fascismo” sembra così diventata un’etichetta pronta all’uso, una categoria che scatta ogni volta che serve a delegittimare l’avversario politico.
Non si tratta dunque solo di memoria storica, ma di un fenomeno che incide sul presente: il rapporto con il fascismo viene frequentemente brandito come strumento di contrapposizione, e ciò contribuisce a rendere divisivo il dibattito attorno ai simboli del Ventennio, trasformandoli più in terreno di scontro che in occasione di riflessione condivisa.
Da qui si allarga il ragionamento che Busacca sviluppa nel suo libro: non è solo la sorte dei monumenti a essere in discussione, ma un più ampio meccanismo culturale che riguarda il modo in cui il fascismo continua a vivere come categoria politica e simbolica. È un fenomeno alimentato anche dal ruolo dei media e dei social, capaci di amplificare allarmi sul “ritorno del fascismo” e di diffondere, talvolta, vere e proprie ricostruzioni distorte o bufale storiche.
In questo senso resta attuale il pensiero di Cesare Pavese, che scrisse: « La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia».
Un monito che invita a non consumare le energie in conflitti sterili, ma a valorizzare la memoria come patrimonio condiviso, capace di dare radici a una comunità. Perché cancellare i segni della storia non significa trasformare il presente: il vero compito di chi vuole migliorare l’Italia di oggi è saper interpretare quel passato, con le sue luci e le sue ombre, senza paura di riconoscerlo, ma anche senza farsi prigionieri delle sue ossessioni.